Alle ore 18.45 di ieri è finita ufficialmente l’avventura di Thiago Silva in rossonero. Comunicato del club, piuttosto
stringato: «A.C. Milan comunica di aver ceduto al Psg Thiago Silva». Qualche settimana fa, sullo stesso sito internet, erano apparse parole di tutt’altro tenore: «Silvio Berlusconi, il nostro presidente, ha deciso: “Thiago Silva resta al Milan!”». Le storie, si sa, cambiano indirizzo all’improvviso: potere dei soldi, 42 milioni di euro (tanto ha pagato il Psg per avere il difensore brasiliano)
autorizzano l’inversione «a U» con buona pace dei sentimentali (e pure dei sentimenti). Che non esistano più gli «uomini-bandiera» l’abbiamo capito da un pezzo, magari basterebbe non illudere la gente con promesse che non si possono mantenere. Lo sbarco Così, ora, Carlo Ancelotti avrà a Parigi quell’opportunità che al Milan non gli fu concessa: allenare Thiago Silva. O meglio: Thiago Silva lo allenò, ma non potè utilizzarlo in campionato. Il brasiliano venne acquistato nel dicembre del 2008, sbarò in Italia nel gennaio 2009 e per cinque mesi lavorò come un mulo sui campi di Milanello senza avere l’opportunità di giocare una partita ufficiale. Al tempo, infatti, il Milan non poteva tesserare un altro extracomunitario, avendone già due in rosa. Ancelotti, dunque, si limitò a osservarlo in qualche amichevole, ne ammirò la forza fisica e le qualità tecniche, gli pronosticò un futuro da campione («può essere il nuovo Maldini» disse) e, al termine della stagione, quando salutò tutti per andare al Chelsea, lo consegnò nelle mani del suo successore Leonardo. Oggi, dopo un lungo corteggiamento, il tecnico del Psg abbraccia il fuoriclasse più inseguito. E, siccome Ancelotti pensa che le grandi squadre siano sempre figlie di grandi difese, si può dire che il lavoro è ben avviato. La paura Viene da sorridere a pensare che, se non fosse stato per un signore quasi sconosciuto di nome Ivo Wortmann, ora non parleremmo di Thiago Silva come del miglior difensore del pianeta. Fu lui a capirne le potenzialità, dopo che il ragazzo era stato impiegato un po’ come centrocampista centrale, un po’ come mezzala, a volte pure come attaccante. Wortmann lo impose come perno della retroguardia e oggi tutti gli appassionati dovrebbero ringraziarlo. E, già che ci sono,gli stessi appassionati (e anche Thiago Silva) dovrebbero ringraziare i medici di Mosca che nel 2005 gli salvarono prima la vita e poi la carriera. Thiago Silva stava male, malissimo: giocava (non giocava...) a Mosca, alla Dinamo, ma non si reggeva in piedi. E nessuno capiva che cosa avesse. Lo spedirono in ospedale e soltanto dopo esami accuratissimi scoprirono e gli curarono una rara forma di tubercolosi. Sei mesi in una stanza, da solo, senza possibilità di contatti con l’esterno perché c’era il pericolo del contagio. Lui e la Playstation, lui e il computer: questa fu la vita di Thiago Silva nel 2005. Uscito dall’inferno, rafforzò la sua fede in Dio e prese a guardare il cielo all’inizio di ogni partita: una sorta di «grazie» che racconta più di ogni altra cosa lo spirito di questo ragazzo. Il cambio Al Milan, ricevuta l’investitura da Paolo Maldini («sarà il mio erede» disse il capitano), ha vinto lo scudetto e la Supercoppa italiana nel 2011. Con il Brasile non ha ancora conquistato nulla, ma porta sul braccio il segno più importante: la fascia da capitano. Ora c’è l’Olimpiade di Londra con la Seleçao e poi la nuova avventura a Parigi con l’obiettivo di salire sul tetto d’Europa. Perché il sogno di Thiago Silva si chiama Champions League: per vincerla era venuto al Milan, ma una volta capito che i rossoneri non avrebbero lottato per il trono non ha esitato a cambiare i piani. In fondo, a Parigi, con Ancelotti e Leonardo, si sentirà un po’ come a casa.ANDREA SCHIANCHI
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