I «bastardi» contro
le stelle Spagna reale Italia, si può
Non li battiamo da Usa ‘94,
ma siamo più freschi e se giocheremo come col Belgio...
Ci sono partite come Italia-Germania 4-3 entrate nella
storia oltre il risultato, per quello che significano, per la leggenda che
nasce. Perché non potrebbe esserlo
questa Italia-Spagna? C’è tutto, l’epica di noi «brutti e sporchi»,alla
Barzagli, contro i giganti che non battiamo in un torneo dal 1994. Loro signori
d’Europa, padroni di Champions ed Euroleague, un ciclo infinito, noi in
recessione. Il liberismo sfrenato di Del Bosque, Real e Barça, contro il
comunismo operaio di Conte. Una sfilata di stelle, da Iniesta a Morata, davanti
a Buffon e un gruppo di irriducibili «bastardi». In un torneo equilibrato,
senza ancora il fenomeno, lo Zidane ’98, il Torres 2008, il top player può essere
il gruppo italiano che ha già un top coach. Finale dell’ultimo Europeo, la
sfida qui arriva agli ottavi, un «dentro o fuori » frettoloso, la prima di
quattro teoriche finali consecutive. Il torneo comunque sorprende: la Francia
non è imbattibile, la Croazia è già fuori. Oggi a Parigi, Germania permettendo,
può essere in gioco la finale.
NON SOLO INIESTA Marcato stretto Modric, spento Brozovic, il
Portogallo ha prevalso sulla temibile Croazia (aposteriori, preferibile per
noi). Ma alla Spagna non si può bloccare a uomo Iniesta, sempre protetto da
compagni per disegnare i triangoli stretti che sfociano nel filtrante. Qui c’è
da aggredire, ragionando, sulla trequarti, senza sprofondare su due linee verso
l’area: guai a concedere il possesso assoluto, come la Juve ha fatto con il
Bayern a Torino per 45’. Necessario quindi rischiare qualcosa e non insistere nella
gestione bassa, perché con la palla sono superiori. Tenerli lontani da Buffon,
muovendo Florenzi perché Jordi Alba non abbia libertà. A turno, uno tra Giaccherini
e Parolo andrà a tagliare le linee di passaggio, per obbligarli a sbagliare.
Eder dovrà infastidire Busquets. De Rossi lanciare. Pellè lottare. Ci vuole,
chiede Conte, un po’ di sana follia. Proprio così.
ITALIA TIPO BELGIO Ribaltare le gerarchie si può. Ci siamo riusciti col Belgio in
una gara perfetta per come abbiamo concesso il possesso inutile, per poi
colpire chirurgici. La Spagna è diversa, non arriva in velocità e in verticale,
ma gestisce con andamento lento e orizzontale. Per fortuna il recupero palla
non è aggressivo come quello di Luis Enrique, non ci sono tre a circondare
subito il portatore: bene per un’Italia tipo Belgio (o Norvegia, o Azerbaigian)
che riparte di prima, con cambi di fronte improvvisi, protetta dalla linea
Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini. Se uno di loro allenta la pressione, però,
il muro cede. Possibile che Del Bosque, temendo il
3- 5-2, arretri Morata alla juventina, a sinistra: con Silva a destra, Koke
accanto a Iniesta, Fabregas falso 9 e Nolito fuori. A Conte potrebbe non
dispiacere un’area meno affollata. Un guaio, però, Candreva out. TRE VANTAGGI MA… Abbiamo un vantaggio oggettivo: il lungo riposo.
Da Croazia-Portogallo è arrivato il messaggio che anche i più forti si
stancano. Ne avevamo un altro: essere outsider totali che spaventano di più se vincono.
Speriamo che l’Irlanda sia stata un episodio, soltanto un’Italia «A--», usando
un rating finanziario, visto che il c.t.
non ama si parli di «B». Il
terzo vantaggio è che i favoriti sono loro, con tutta la striscia di onori che
li accompagna dal 2008 a oggi, e noi abbiamo meno da perdere. Se a Vienna, otto
anni fa, avessimo avuto un po’ di coraggio in più, forse si sarebbe scritta una
storia diversa.
GRUPPO TOP PLAYER Quello che non vorremmo vedere è accontentarsi,
com’è stato un po’ con la Svezia e tanto con l’Irlanda. Si può perdere
senza far drammi, ma non è un’eresia pensare di chiudere il ciclo spagnolo, in
questo preciso momento storico, dopo avergli dato una scossetta salutare in amichevole.
Difficilmente oseremo il 3-4-3, ma basterebbe rivedere il nostro top player storico,
il gruppo, numero «1- 23», per giocarcela. Come nel ’94. Quando eravamo noi a
fare paura. Conte, siamo anche nelle sue mani, pardon strategie. Se non ora,
quando.
Fabio Licari
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